Verso la metà del XVI sec. a nord di Casal Cermelli, nella zona denominata “Sanguinetta”, vi fu una vera e propria battaglia tra l’esercito franco-piemontese e quello alessandrino-spagnolo: prova ne sono, oltre gli archivi storici, i numerosi reperti attribuibili a divise militari dell’epoca che in quella zona vennero ritrovati dagli agricoltori del posto.

A Casal Cermelli è diffusa la credenza che la zona denominata Sanguinetta abbia appunto preso il nome dal sangue versato in occasione di quella battaglia ma invece, come già indicato dal catasto visconteo redatto il 9 dicembre 1393 e conservato all’Archivio di Stato di Milano, a Casal Cermelli già esisteva una zona denominata “Sangoneta”.

Detto questo, ai fini della storia che vogliamo raccontare

la precisa etimologia della parola non ci interessa.

Un tempo, una delle tante famiglie Cermelli in seguito denominata “Desidéri” [desiderio], possedeva alla Sanguinetta un piccolo lotto di terreno che coltivava da generazioni. Un giorno il capofamiglia decise di piantare un giovane gelso in quel terreno tenendolo però a debita distanza da un enorme albero secolare che dalla capezzagna, con la sua ombra, avrebbe potuto ostacolare la crescita della piantina.

L’uomo disse al giovane figlio, che sempre lo accompagnava nei lavori agricoli, di contare un determinato numero di passi in una certa direzione per poter poi lì scavare una fossa che avrebbe ospitato l’alberello. Proprio in quel punto, ad una certa profondità, Cermelli si accorse che qualcosa di duro, non certo un semplice pietrone, gli impediva di proseguire. In un primo momento l’istinto fu quello di spostarsi più in là ma, preso dalla curiosità, cercò di estrarre quella “cosa” dal terreno per scoprire cosa fosse.

L’operazione non fu semplice infatti, man mano che veniva alla luce l’oggetto si scopriva essere sempre più grande, così da dover allargare il buco più volte. Il figlio del contadino, ormai distratto da altro, giocava correndo nei paraggi, mentre lui spostava terra come un forsennato, senza nemmeno asciugarsi il sudore che così gli inzuppava il foulard legato al collo.

Ad operazione riuscita lo stupore fu grande nel riportare alla luce, chissà come fosse finita proprio lì, una grande statua dal peso rilevante raffigurante un cane. Il figlio del contadino, vedendo il padre spostare la scultura, lo raggiunse ed aiutandolo a togliere gli ultimi residui di terra che ricoprivano la statua, scoprì che si trattava della riproduzione di una cagna. Infatti la statua che sembrava costruita modellando un impasto di malta con una chiara graniglia di pezzatura omogenea era perfetta sin nei minimi particolari.

La domanda che l’uomo continuava a porsi era sempre la stessa: «Come poteva essere finita lì quella statua? Chi poteva averla portata?». Non trovando risposte, e soprattutto l’immediata utilità di quell’oggetto, decise di tornare a casa lasciandolo a ridosso del tronco del grande albero secolare che, con i suoi cespugli di accompagnamento, costeggiava il sentiero che portava in paese.

Dopo qualche giorno il Cermelli decise di lavorare quel terreno per la semina e, dovendolo erpicare, intuì quella che poteva essere l’utilità di quella statua. In effetti i vecchi erpici avevano il telaio in legno con i denti in ferro battuto e quindi, strutturalmente molto leggeri, necessitavano di essere appesantiti, per esempio con numerosi pietroni. Quella statua, tutta d’un pezzo e con quella mole, poteva assolvere egregiamente a quella funzione.

Oltre al Cermelli altri contadini utilizzarono da allora la “càgna préia” [cagna di pietra] per erpicare, visto che era sempre disponibile appoggiata al tronco dell’alberone. Col passare del tempo la “càgna préia” della Sanguinetta divenne famosa tra tutti gli abitanti del paese ma non solo. In effetti qualcuno che sarebbe arrivato da molto lontano era intenzionato a ritrovarla.

Sul finire di un inverno, in piena notte, arrivarono due ragazzi di lingua francese che nell’oscurità e nella nebbia con attrezzi da scavo cominciarono a sondare il terreno pressapoco nel punto dove anni prima il proprietario aveva trovato la statua. Per tutta la notte le ricerche dei due francesi furono vane ma sul far del sole tra la bassa vegetazione dell’albero secolare videro ciò che cercavano: la “càgna préia”.

A quel punto attesero l’arrivo nei campi del primo contadino per chiedere di chi fosse quel terreno e soprattutto quella statua; l’occasionale interlocutore li indirizzò nella casa in paese dove quel Cermelli viveva con la sua famiglia. Gli stranieri appena giunti a Casal Cermelli, senza troppi giri di parole, chiesero al padrone del terreno di vendergli quella statua ricevendo però un diniego. I due ragazzi non vollero assolutamente arrendersi così offrirono una cifra che per una semplice “zavorra” non era certo bassa. Nonostante questo il Cermelli scuotendo il capo continuava a mugugnare “Ma no ma no e pói nui iòuč se cài bitóma ansl’érpi?” [ma no ma no e poi noi cosa mettiamo sull’erpice?]. Dopo tanta insistenza e un ulteriore aumento della cifra offerta il Casalcermellese, sputandosi sulla mano come era in uso allora per sancire un contratto e, stringendo quella dei suoi acquirenti accettò.

A quel punto i francesi per ufficializzare l’operazione e per poter onorare il dazio, allora obbligatorio, andarono a prendere la statua e la appoggiarono al muro del castello che occupava l’attuale P.za Marconi. Alla presenza del daziere e di altre persone cominciarono a martellare la statua che, sotto la copertura di malta spessa qualche centimetro, si rivelò essere tutta d’oro massiccio.

Tra lo stupore generale i due stranieri raccontarono che quella statua era stata sotterrata alla Sanguinetta dal loro zio milite nell’esercito francese, per potersi alleggerire di tanto peso in occasione della battaglia che lì si svolse. Infatti i nipoti edotti dal congiunto anche attraverso una mappa che riportava i principali punti di riferimento erano stati inviati in Italia per recuperare quel bottino.

Da quel giorno i Cermelli che avevano venduto la “càgna preia”, rimpiangendola, cominciarono a pensare a tutto quello che si sarebbero potuti permettere con essa. In ogni occasione o rivolgendosi a chiunque ostinatamente ripetevano “Oh ancùn cula càgna a pudìvu caté Campagna... Oh ancùn cula càgna a pudìvu caté ŗa Tur... Oh ancùn cula càgna a pudìvu catè su cói, su là...” [oh con quella cagna potevamo comprare C.na Campagna, la Torre o questo o quello] così che manifestando continuamente dei desideri quel ramo dei Cermelli da quel tempo venne soprannominato “i Desideri”.

Siccome per anni fu abitudine per i Desideri ripetere: “Pirchè, pirchè c’a ióma vendì cula càgna?” [perché abbiamo venduto quella cagna?] ad ogni cane posseduto davano il nome Pirchè e il “Pirché, l’è iŗ cöu d’Desidéri” divenne il modo di dire di tutti i Casalcermellesi.

Gli anziani di Casal Cermelli ricordavano ancora l’ultimo cane dei Desideri di via Orba che dal folto pelo nero e sempre sullo “strigà” [selciato] della chiesa si chiamava proprio PIRCHE'